Nella vita, la bellezza svanisce.
Nell’arte no.
Leonardo Da Vinci
Il cigno è un animale simbolico per eccellenza. Il mito più antico che lo riguarda è quello di Leda, figlia di Testio e moglie di
Tindaro, re di Sparta. La leggenda narra che Zeus, innamoratosi di lei, si trasformò in un cigno e si accoppiò con lei, che generò due uova.
Da un uovo sarebbero usciti i Dioscuri, Castore e Polluce, mentre dall'altro Elena e Clitennestra. La tradizione mitica è discordante riguardo
a quale fosse la progenie divina; secondo alcune versioni i figli immortali di Zeus non sarebbero stati i Dioscuri ("figli del dio"), ma Polluce
ed Elena, mentre gli altri due sarebbero figli di Tindaro. Secondo un'altra versione del mito, Leda trovò l'uovo, frutto dell'unione tra Zeus e
Nemesi, dal quale sarebbe uscita Elena. Così il poeta latino, e padre dell’astrologia, Marco Manilio descrive la costellazione del Cigno nel suo
Poema SUgli astri, rifacendosi all'antico mito:
Subito prossima la sede assegnata del Cigno
che Giove in persona nel cielo volle creare,
prezzo della bellezza con la quale sedusse l'amante
quando il dio discese mutato nelle sembianze del niveo uccello
e insinuò il voluminoso corpo in grembo alla fidente Leda.
Anche ora, rivestito di stelle, vola sulle ali distese.
Già proprio la costellazione del Cigno, che comprende anche quella, più piccola del Pellicano, che come visibile dalle lontane Americhe,
viene fin dai primi secoli dell’anno Mille, riportata in una antica marca templare.
Della connessione tra i simboli del cigno è del pellicano
qualcosa abbiamo già detto nella ricerca relativa al mosaico di Otranto, laddove si parla delle nozze mistiche tra il re Salomone e la Regina di
Saba, simboleggiati, con inversione del sesso frequente nel simbolismo antico, dalla rosa di Sharon ed il giglio delle Valli, nel Cantico dei
Cantici biblico. Ma sulla connessione del simbolo del cigno con la storia dei Templari c’è ancora tanto da dire. Infatti l’Ordine dei Templari
era eloquentemente legato alla figura simbolica del cigno. Secondo la leggenda, Goffredo di Buglione, sarebbe stato il figlio del re Helias, uno
dei tre figli della regina Bietris, tramutati, per salvare loro la vita, in cigni. Costui, tornato in forma umana, sarebbe entrato poi nella
leggenda come Cavaliere del Cigno. Lo stesso Goffredo di Buglione, poi concesse ai nove cavalieri, fondatori dell’Ordine, di stabilire la loro
prima sede, nelle stalle adiacenti al Tempio di Salomone.
D’altro canto anche il mito della trasformazione di Zeus nel candido animale, per amare
la bella Leda, con la conseguente nascita dei gemelli divini, Castore e Polluce richiama il sigillo dei Templari, con due cavalieri uguali sul
dorso di un unico cavallo, come appare evidente.
Infine lo stemma dei Cistercensi di Bernardo di Chiaravalle raffigura una cicogna,
equivalente del cigno per motivi che spiegheremo in altra occasione, che sovrasta trionfante la mitra papale, tenendo nel becco un’asta con
annodato un nastro bianco, come riportato in alto sul portone dell’Abbazia di Chiaravalle nei pressi di Milano. Se vogliamo poi fare
riferimento alla leggenda, ricorrente nelle vicende dei Rosa+Croce, di conoscere con anticipo la data della loro morte, si può ricordare
che Brunetto Latini, il maestro di Dante, nel suo Libro dei Tesori descrive così gli ultimi momenti del cigno:
ed egli dunque ha percepito la sua morte,
ed allora comincia a cantare così dolcemente che meraviglia è udire,
e cantando così finisce la sua vita.
Nonostante l'incertezza sulla versione originaria del mito, nell'episodio si è sempre riconosciuta la trasposizione di credenze e simbologie diffuse
sia in ambito mediterraneo che nordeuropeo: il cigno veniva considerato un uccello sacro, un simbolo solare, infatti, sia dai Veda, che dagli
scandinavi dell'Età del Bronzo, che raffigurarono i raggi del sole come lunghi colli di cigno, sia, infine, per i Greci che associarono l’uccello
ad Apollo e allo stesso Zeus, il cui genitivo del nome, diòs, rivela la radice indoeuropea div che significa splendere. Inoltre, nello stesso nome
di Leda alcuni studiosi hanno voluto riconoscere la parola lada, che nell'antica lingua dei Lici significava "donna", con chiari riferimenti al
mitico essere femminile primordiale.
Fu forse a causa delle sue differenti versioni che l'episodio ispirò altrettanto differenti soluzioni
iconografiche, a partire dall’antichità stessa: se infatti nella statua di marmo bianco del II secolo a.C., copia di un originale del V secolo a.C.,
oggi custodita nelle sale dei Musei Capitolini di Roma, opera attribuita allo scultore Timotheos, Leda è e raffigurata seduta, mentre con il
mantello protegge il cigno dalla minacciosa aquila, in altre sculture, gemme e lucerne più tarde viene raffigurata giacente sotto il cigno che le
avvicina il becco alle labbra per baciarla, oppure adagiata, mentre il cigno, assunti ormai atteggiamenti del tutto umani, la abbraccia teneramente.
Sono queste le varie raffigurazioni a cui probabilmente gli artisti del Quattro e Cinquecento si ispirarono per realizzare le loro versioni,
pittoriche o scultoree, del mito, nelle loro opere d'arte ispirate al mito, dalla Leda di Timotheos, fino alle rappresentazioni del Cinquecento,
di Leonardo e Michelangelo. Nel Medioevo, scrittori come Adolfo d’Orleans, Giovanni di Garlandia e Petrus Berchorius, dal XIII secolo in poi misero
in relazione il mito col cristianesimo: il cigno divenne in tal modo simbolo dello Spirito Santo che con la sua candida purezza scendeva su Maria,
immagine molto amata dai Copti d'Egitto che amavano inciderla sui loro anelli, nonostante i richiami di Clemente d'Alessandria.
Ma il cigno poteva
anche significare lussuria: come sostenne, ad esempio, Vincent de Beauvais nel suo Speculum Majus in cui scrisse che l'immagine dei colli
intrecciati di due cigni era l'emblema «delle carezze e dei giochi lascivi», o ancora dell'ipocrisia, con il suo nascondere dietro le bianche
piume delle carni nere. Accompagnati da questa doppia valenza, il cigno e Leda furono traghettati fino al Rinascimento: Leonardo li rappresentò
per ben due volte, nella contemplazione amorevole dei loro figli, con il tipico sorriso misterioso e sacrale delle opere leonardesche, anche se
quelle in nostro possesso sono copie degli adepti della scuola del maestro da Vinci.
In realtà, come si desume da alcuni disegni che ci
sono pervenuti, Leonardo progettò di ritrarre Leda in tutte e tre le possibilità che la tradizione aveva disegnato e cioè la Leda “stante” che è
quella delle copie, in piedi, la Leda “inginocchiata” e la Leda “recubans”, sdraiata, generalmente sotto un cigno particolarmente intraprendente
sotto il profilo erotico. In quest’ultima posa vene descritta dal Petrarca nei Trionfi o interpretata da Michelangelo. Comunque, per quello che
possiamo desumere nelle copie in nostro possesso, la Leda di Leonardo deve essere stata una delle sue opere più belle e misteriose.
Le posizioni della donna, dell’animale e dei figli, fuoriusciti dal guscio delle uova disegnano dei simboli di cui non possiamo avere certezza perché differenti
in ogni copia. Ma le strane torsioni presenti nei corpi, in ogni copia ci fanno pensare che il grande artista volesse velare un codice, delle
lettere o forse delle cifre. Ma in tutte le copie, la madre ed i bimbi si guardano amorevolmente, mentre il cigno volge lo sguardo in cielo.
Passiamo ora ad esaminare come lo stesso tema è stato trattato da Gustave Moreau. Ci troviamo nella seconda metà dell’Ottocento quando Moreau
butta le fondamento del movimento artistico più importante del periodo a cavallo col Novecento: il Simbolismo. Un movimento che torna a trasfigurare
la realtà a favore del linguaggio simbolico, recuperando alla trattazione i temi classici uniti a significati misteriosofici ed esoterici per
recuperare il vigore della pittura rinascimentale. Moreau dipinge due volte il tema con la abituale maestria. Nl dipinto esaminato. Leda è
seduta, il cigno le poggia la testa sul capo, dietro ad esso un sole raggianta, in alto due angeli reggono una corona, uno vola di spalle.
La donna in basso ha un drappo bianco, rosso e verde, i colori dei Rosa+Croce e ciò è molto importante per le considerazioni che faremo alla
fine di questa disamina.Anche nel Novecento il tema di Leda non cessa di avere vigore Marcel Proust ne fa un passaggio importante di una sua opera:
era un collo di cigno, cercava la bocca dell'altra giovine donna.
Allora non vedevo più neppure la coscia, ma il collo ardito
di un cigno come quello che in un disegno fremente cerca la bocca di una Leda vista nella specifica palpitazione del piacere femminile,
perché c'è solo un cigno ed essa sembra più sola (...).
In quel disegno il piacere, invece di andare verso la donna che lo ispira e che è assente, sostituita da un cigno inerte, si concentra in
colei che lo prova.