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Arcimboldo,
ovvero dell'arte di scomporre e ricomporre
È un artista solo colui
che sa creare un enigma
da una soluzione.

Karl Krauss

E’ inevitabile, se ci si accinge ad occuparsi del simbolismo nell’arte, incontrare il pittore Giuseppe Arcimboldo, maestro dell’arte di scomporre e ricomporre la realtà in modo originale, unico ed inconfondibile.

Cenni biografici

Nel registro dei decessi del Magistrato della Sanità di Milano si da’ atto della morte, avvenuta all’età di circa 66 anni, del pittore Giuseppe Arcimboldo per “calcoli renali e ritenzione delle urine senza sospetto di peste”. Era nato, forse a Milano, nel 1527, l’anno del sacco di Roma da parte dei soldati di ventura di Carlo V, figlio di Biagio Arcimboldo o Arcimboldi, pittore presso il Duomo di Milano. Si tratterebbe di un casato, come ricostruito su indicazioni dello stesso pittore, da padre Morigia, un suo amico, risalente all’epoca di Carlo Magno, al seguito del quale c’era un cavaliere di nome Saitfrid Arcimboldi. Uno dei 16 figli di quest’ultimo, investito di un titolo nobiliare per meriti cavallereschi, si sarebbe poi stabilito in Italia divenendo il capostipite italico della famiglia. Il prozio dell’artista assunse la carica di arcivescovo di Milano dal 1550 al 1555 e fu l’artefice della formazione e dell’educazione del nostro pittore e della sua introduzione nel mondo culturale della città. All’età di 22 anni, nel 1549 troviamo la prima traccia della sua carriera di pittore, essendo registrato un compenso ricevuto dal Duomo di Milano per il disegno di alcune vetrate. Lavorò a Milano fino al 1559 quando il suo nome compare per l’ultima volta sugli atti del Duomo di Milano, avendo ricevuto il compenso per un arazzo. Nel 1962 si trasferì a Praga, prima presso Ferdinando I, poi presso Rodolfo II. Nel primo periodo della sua permanenza a Praga avvenne il suo cambiamento radicale di stile pittorico che lo condusse a dipingere la prima serie ispirata al tema delle quattro stagioni. E successivamente, nel periodo fino al 1576, dipinse altre due serie delle quattro stagioni, “Il Giurista”, “Il Cuoco”, “Il Cantiniere. Ma alla corte imperiale Arcimboldo oltre a dipingere fece molto altro: architetto, scenografo, ingegnere edile, idraulico ed esperto d’arte. La sua influenza ed il suo prestigio crebbero a dismisura e si manifestarono anche sul principe imperiale Massimiliano II che, con i suoi consigli, ampliò la sua collezione d’arte fino a farla divenire un Museo delle Meraviglie. Le imponenti e scenografiche manifestazioni storiche e mitologiche che resero uniche le feste imperiali furono tutte create, organizzate, costruite da Arcimboldo. Nel 1587, dopo undici anni di permanenza, decise di tornare in patria, col consenso, sia pure a malincuore, di Rodolfo II e con una lauta liquidazione, ma anche tornato a Milano, prestò ancora la sua arte ed il suo ingegno all’impero, tanto da divenire, nel 1592, investito della prestigiosa carica di conte palatino. Ciò avvenne un anno prima della sua morte, avvenuta, come si è detto l’11 luglio del 1593.

L’unicità dell’arte di Arcimboldo, il pittore alchimista

E’ davvero profondo e radicale il mutamento di linguaggio artistico avvenuto in Arcimboldo dal momento del suo trasferimento a Praga. Dalle figurazioni classiche degli arazzi e delle vetrate disegnate per il Duomo di Milano, alle orinalissime soluzioni figurative delle composizioni di frutti, di fiori, di animali, di piante, di oggetti che formano volti ed immagini, il divario è enorme. Ma cosa è avvenuto a Praga al nostro pittore Arcimboldo? A Praga c’era la corte dell’imperatore, ma c’era anche il ritrovo prediletto degli alchimisti e dei Rosa+Croce, da lì passarono Sendivojus, John Dee, Michele Maier e tanti altri che resero negli anni questa città il centro dell’esoterismo europeo, al punto di conquistarsi l’attributo di città magica. Per questa via ed acquisendo questa conoscenza Arcimboldo elaborò la sua tecnica: scomporre la realtà in parti, come le monadi di Leibnitz o gli atomi di Democrito, trasformare queste parti, a loro volta in organismi che avessero un senso simbolico rispetto al quadro generale, e ricomporre infine la realtà, come un mosaico, utilizzando le nuove tessere che aveva creato. Una trasmutazione alchemico.artistica della materia, una Grande Opera pittorica, Scomponi e Ricomponi, Solve et Coagula, nella migliore tradizione dell’alchimia. Consideriamo, a tale riguardo due opere delle quattro dedicate al simbolismo dei quattro elementi. “L’Aria”, un olio su tela senza data, conservato in una collezione privata di Basilea, è un profilo di testa umana. Le monadi utilizzate dal pittore per comporre la figura, sono uccelli, e questo ha una connessione esplicita col tema trattato, alcuni riconoscibili, altri meno. Si possono distinguere l’oca, dipinta di profilo, il gallo, le cui piume della coda formano l’orecchio, il tacchino il cui petto rigonfio compone il naso. Non identificabile appare il piccolo uccello che forma la pupilla all’interno dell’occhio, formato dal becco di un’anatra. L’occhio, fin dall’antica civiltà egizia o iranica, rappresentava il mistero del divino ed Arcimboldo esprime, con l’inidentificabilità del volatile che forma la pupilla, il suo profondo rispetto per tale mistero. In secondo luogo esaminiamo “Il Fuoco”, databile nel 1566, olio su tavola conservato presso il Kunsthistisches Museum di Vienna. L’artista offre nell’opera diverse rappresentazioni simboliche del fuoco, dalla piccola fiamma della lampada ad olio e della candela fino alla dirompente potenza del cannone. Un acciarino forma il naso, un altro l’orecchio, il mento è una lampada ad olio, i baffi sono degli zolfanelli, la fronte è un gomitolo arrotolato di filo cerato per micce o stoppini, la chioma una catasta di legna ardente. Sul petto la collana del Toson D’Oro, riferimento all’imperiale protettore asburgico, ma anche simbolo iniziatico ispirato alla leggenda del Vello d’Oro ed alla missione di Giasone e degli Argonauti. Al di sotto l’Aquila Bicipite, simbolo dell’imperatore, ma anche della regalità iniziatica, della discendenza dai Merovingi e da Carlo Magno, e tutt’ora simbolo della sovranità nella massoneria di rito scozzese.

Il cammino iniziatico: riflessione e capovolgimento

Nel percorso iniziatico cui si è avviato l’artista, dal momento del suo trasferimento a Praga, non poteva mancare il riferimento ad una fase necessaria ed inevitabile in tutte le iniziazioni quale quella del capovolgimento. In tutte le iniziazioni, come si è detto, è presente una fase nella quale l’iniziando deve porsi di fronte al mondo che lo circonda ed a se medesimo in modo completamente capovolto rispetto alla modalità originaria. Tale rivoluzione deve essere totale, ma anche invisibile ad occhio esterno, talchè il simbolo di tale fase è ordinariamente lo specchio, speculum, che restituisce riflessa una immagine apparentemente eguale, ma capovolta in quanto la destra diviene sinistra e viceversa. Per la corrispondenza simbolica con tale immagine, con eguale significato del termine capovolgimento, viene utilizzato proprio il termine riflessione, che per allargamento di significato assume anche un senso di meditazione profonda ed introspettiva. Per tale motivo nell’iniziazione massonica troviamo la fase in cui l’iniziando trascorre del tempo in un Gabinetto di Riflessione, antistante il tempio massonico, ma separato dal medesimo, ove mediante la presenza di simboli posti all’interno, il soggetto attua il proprio capovolgimento. Non a caso, al centro di una vicenda profondamente simbolica, quale è quella del romanzo di Dorian Gray, Oscar Wilde, provato massone, pone gli effetti di uno specchio. Arcimboldo nel trattare tale tema, in ben due suoi dipinti, non potendo adoperare il simbolismo dello specchio, essendo la pittura priva di una delle dimensioni necessarie, mantenendo la tecnica della scomposizione e ricomposizione, attua il capovolgimento nel soggetto con tecnica sopraffina. Ecco quindi che possiamo esaminare, nella prima opera su tale tema, “Il Cuoco”, un olio su tela del 1570, conservato presso una collezione privata di Stoccolma, una scodella dove si può vedere il volto di un tipaccio.) Ma se si capovolge l’opera, ci si accorge che diviene tutt’altro: sono pezzi di arrosto posti su un piatto in bell’ordine, con a margine una fettina di limone. (05) Per evitare che si raffreddino, qualcuno li sta anche coprendo con un coperchio. La seconda opera su tale tema è “L’Ortolano”, olio su tavola del 1590, custodito al Museo Civico di Cremona. L’effigie è quella di una scodella color verde scuro, ricolma di vari tipi di verdura, ma, anche qui basta capovolgerla perché diventi un volto rozzo e paffuto. Bisogna capovolgere e capovolgersi per vedere l’altro lato della realtà.

La Grande Opera: Il Vertumno

“Il Vertumno”, olio su tela del 1590 circa, custodito al Skoklosters Slott, in Svezia, è l’opera probabilmente più famosa di Arcimboldo, ma è anche il compimento del suo cammino artistico e iniziatico, operata sulla sua personale strada della scomposizione e ricomposizione. E’ il ritratto dell’imperatore Rodolfo II, suo grande protettore, a mezzo busto, nella figura di Vetumno, che presso gli antichi romani era il dio della vegetazione e dei cambiamenti. La figura è composta da magnifici frutti, fiori e verdure varie che rappresentano la sintesi della quattro stagioni, separatamente già, e più volte, da Arcimboldo raffigurate. Del quadro offre la chiave ermetica il poeta e amico dell’artista, Comanini, in un poemetto d’accompagnamento all’opera di cui è rivelatore uno stralcio:

Se’n mirar non t’ammiri
del brutto, ond’io son bello;
ben non sai, qual bruttezza
avanzi ogni bellezza
vario son da me stesso,
e pur si vario un solo
sono e di varie cose
co’l mio vario sembiante
le sembianze ritraggo.
Ma fa severo il ciglio
e’n te medesimo accolto
porti attento l’orecchio.
Perch’ivi affidar possa
d’arte nova un secreto.
Tempo fu, che confuso
era in se stesso il Mondo,
però che’l col foco,
e’l foco, e’l ciel con l’aria
eran mischiati, e l’onda
con l’aria, e con la terra,
e col foco, e col cielo:
e senz’ordine il tutto
stavasi informe, e brutto.



E’ la Creazione, l’Aurora Consurgens, la nascita del mondo, misteriosamente descritta e disegnata negli anni successivi dal medico e Rosa+Croce Rober Fludd nella sua opera enciclopedica. E’ il grande codice dei Rosa+Croce, il significato segreto dell’acrostico INRI sulla croce del Cristo, Ineffabile Nomen Rerum Initium, in cifre 10, 5, 5, 7, dalla somma delle lettere che compongono le parole. Arcimboldo le cela nei fiori, nei frutti e nelle verdure del suo dio degli inizi e compie la sua Grande Opera, per conservare e trasmettere il segreto, come ogni confratello doveva fare, prima della sua morte.

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