La pietra scartata dai costruttori
è divenuta testata d’angolo;
dal Salmo 117 (118), altrimenti detto Salmo di David
Siamo a metà dell’XI secolo quando Otranto, prima terra di Bisanzio, e capoluogo importante di provincia, venne dai Normanni ridotta in schiavitù. Dolorosamente costretta a rinunziare al rito greco, peraltro segretamente conservato dai frati del Monastero di San Nicola di Casole, in favore del rito latino, ridotta al rigido schema del feudalesimo, Otranto viene umiliata nella sua antica ed identitaria civiltà. Ma l’Arcivescovo Guglielmo regalò ai suoi concittadini qualcosa di glorioso, sublime e salvifico: la Cattedrale. (58) facciata della cattedrale.
La missione della Cattedrale ed il codice della colonne della cripta
La cattedrale sorge sui resti di un villaggio mesapico, di una domus romana e di una chiesa paleocristiana, come rilevato in scavi relativamente recenti. Venne edificata in otto anni con l’apporto dei migliori maestri costruttori dell’epoca e col generoso e fattivo apporto della popolazione, stimolata dall’impulso irrefrenabile dell’arcivescovo. Sorge nel punto più alto del centro storico come sintesi armoniosa dello stile paleocristiano, bizantino, romanico. Ha tre navate con absidi semicircolari e due cappelle laterali, come si può notare nella pianta. Chi accede alla Cattedrale dalla porta centrale con lo sguardo teso verso l’altare maggiore ha l’impressione che sia immensa, quando invece lo sguardo parte dal fondo dall’altare, appare nelle sue dimensioni. L’effetto è voluto, lo sguardo dell’uomo viaggia dal microcosmo al macrocosmo, mentre lo sguardo sacro dell’uomo divinizzato dalla fede, vede le cose nelle loro reali proporzioni. Ma la chiave esoterica della Cattedrale è nella Cripta, un autentico capolavoro che regge il transetto. Infatti a reggere la cripta con un effetto visivo di imponenza davvero straordinaria quarantadue colonne monolitiche che sono il codice della costruzione. Quarantadue, sette volte sei o sei volte sette: la materia per lo spirito o viceversa, perché l’essenza ultima non può perpetuare l’illusione della separazione tra di essi. Poi i capitelli delle colonne sono di stili che assommano la scienza dei costruttori del passato: l’egizio, il persiano, i vari stili greci, ionico, corinzio, l’asiatico, il bizantino fino all’islamico. Perché questa somma di stili diversi? Ma per trasmutare la materia, elemento terra e ricostruire il Tempio di Salomone, espressione del divino, elemento fuoco, la shekinah, la unione delle dodici tribù ebraiche in una civiltà di armonia ed amore simboleggiata da una costruzione che supera la divisione di un altro simbolo costruttorio, la Torre di Babele, elemento aria, e realizza la potenzialità della costruzione navale, l’Arca di Noè, elemento acqua, nel compimento dell’opera tramite la figura di Gesù Cristo, il Salvatore e dei suoi dodici apostoli. Il simbolismo del dodici espresso tre volte nella Trinità e dimezzato nella materia, parte mezzana della realtà cosmica: tre volte dodici più sei = quarantadue.
Il mosaico in generale e l’Albero della Vita
Ma occorreva esprimere più compiutamente il messaggio della cattedrale. Così all’interno della cattedrale si decise, intorno al 1163, di collocare un’opera di mosaico, (59), Cattedrale pianta, disegno con collocazione dei mosaici. L’incarico fu affidato ad un monaco, Pantaleone, uno dei preziosi depositari dell’antica scienza dei costruttori. Costui, come tradizione, inserì all’interno dell’opera la sua firma ed il suo ritratto, (60), e questa firma esprime la sua vera natura. Infatti in essa possiamo ammirare il monaco artista, Elia, vicino ad un liocorno, mitologico essere simbolo della conoscenza iniziatica, illuminato da una stella a cinque punte, la scienza di Pitagora. Così il saggio Pantaleo si mise all’opera per consacrare nell’eternità delle pietre l’antico messaggio. La principale raffigurazione scelta dal nostro artista è il mitico Albero della Vita. Attorno a questo simbolo prebiblico, biblico, cristiano, cabalistico, islamico, ma anche delle antiche civiltà amerindie, troviamo una grandiosa allegoria della potenza divina, dalla creazione del mondo al giudizio universale, intervallata da episodi emblematici relativi alla lotta tra il bene ed il male, dalle immagini del ciclico rigenerarsi della natura e dalle scansioni temporali su cui sono regolati l’esistenza ed il lavoro dell’uomo. L’albero della vita è collocato nella navata maggiore della cattedrale, con la funzione di dividere in due partizioni distinte, ma non simmetriche, lo spazio della chiesa: in posizione centrale si trova la creazione, nella navata destra la redenzione, in quella di sinistra il giudizio divino. Il disegno complessivo del mosaico esprime l’unità delle culture e dei popoli eurasiatici e mediterranei, che sorgono tutti da una radice comune: Dio. La miriade di personaggi (uomini, animali, mostri, diavoli, angeli) che affollano le chiome e i rami dell’albero indica che ogni creatura vivente, nel bene come nel male, ha origine nell’albero della vita: Esso è privo di radici (per sottolineare il suo carattere spirituale) ed è sorretto da una coppia di elefanti, simbolo di stabilità e di forza. Questa pianta miracolosa e sempreverde trae nutrimento dal cielo per infondere su tutto il creato la linfa redentrice (il frutto dell’immortalità) concessa in dono da Dio a tutti i viventi.
Il Messaggio dei Costruttori
Nel Presbiterio si rammostra subito la Creazione tramite una serie di simboli che giungono infine da Adamo ed Eva, non senza ricomprendere sul lato destro la firma di Pantaleone di cui sopra abbiamo trattato. E proprio da Adamo ed Eva, cacciati dal Paradiso Terrestre parte la vicenda espressa nella navata centrale. (61) L’angelo che li caccia è l’arcangelo Michele ma in basso c’è un servo di Jahve che custodisce la porta del Paradiso: è in forma umana ed ha in mano un bastone inconfondibile, il tau del Battista e degli gnostici. Poi c’è la torre di Babele che è il segno tangibile della superbia umana e della confusione delle lingue, segno dell’inimicizia tra i popoli. (62) Dove non c’è comunicazione non può esservi pace ed armonia, ci indica la narrazione biblica. Come espressione della volontà di farsi simile a Dio mediante una mera operazione umana e materiale, essa ricalca il peccato di Lucifero ed il peccato originale, commesso dai progenitori mangiando il frutto proibito. Anche in questo caso, la promessa fatta al Signore viene tradita con un atto di tracotanza estremo: la scalata alle sfere celesti accompagnati solo dall’abilità tecnica e dalla ragione discorsiva. Ma alcuni uomini avviano un cammino di resurrezione come si vede in un particolare dell’albero della vita: grazie alla cura della vigna che è l’osservanza della parola di Dio, Noè ed i suoi figli vengono salvati dal diluvio e destinati a ripopolare la terra con uomini migliori. E’ il frutto della vite, il vino eucaristico della resurrezione, ma anche quello iniziatico della quinta quartina del Rubayvat di Omar Kayam:
Hiram invero se ne è andato con tutta la sua Rosa
e così la Coppa dei Sette Anelli di Jamshyd dove nessuno sa;
ma ancora la Vigna dona il suo Rosso scuro e antico vino
e ancora, vicino all’Acqua, profuma un Giardino.
Ma se l’arroganza dei costruttore della Torre di Babele ritorna ad essere antica sapienza e saggezza, allora torna la grazia di Dio tra gli uomini. Nella navata centrale i costruttori dell’Arca di Noè realizzano l’alleanza con Dio rappresentati nei tre gradi della vera iniziazione, tra i massoni moderni, denominati apprendisti, compagni d’arte, maestri. (63) E la salvezza si compie: possiamo così vedere raffigurate la salita degli animali sull’arca di Noè e la fine del diluvio universale rappresentato dalla colomba che si avvicina all’imbarcazione portando nel becco un rametto di ulivo. Quindi il popolo salvato deve custodire l’alleanza con Dio, la grazia, la shekinah della cabala ebraica, ed a tale riguardo torna la simbologia costruttoria: nel Presbiterio possiamo vedere il re Salomone, costruttore del Tempio dei Templi, che sposa la Regina di Saba, nelle nozze mistiche per eccellenza, quelle del Cantico dei Cantici, l’unione della Rosa di Sharon e del Giglio delle Valli, la riunificazione tra il popolo del Nord, gli Iperborei, simboleggiati dal Cigno ed il popolo del Sud, gli Atlantidei, simboleggiati dal Pellicano, l’alleanza tra Guerrieri e Scimmie del Ramayana indiano, l’epopea dell’eroe-dio Rama, che sconfigge definitivamente il male, come l’arcangelo Michele, equivalente alchemico del Rebis, nell’Apocalisse. (64-65)
Il simbolismo animale e l’Alchimia
Il simbolismo animale del mosaico ha natura e connotazione simbolica e alchemica. Ad esempio i cervi, animali ricorrenti nel mosaico, sono simbolo della luce divina che si diffonde per il creato, illuminando il cuore del fedele e distogliendolo dal peccato. (66) Nell’immagine riportata l’animale sta fronteggiando un emissario del demonio, un tapiro cornuto posto tra due serpenti uniti per la coda. Secondo il Fisiologo, il cervo avrebbe la proprietà di uccidere i serpenti con il respiro: per questo motivo è uno degli emblemi più significativi della lotta del bene (Cristo) contro il male (Satana). Nella navata destra vediamo il Leone di Giuda, il Dragone Rosso il Capro Emissario: è la serie, invertita nell’ordine perché parte dall’alto, dell’Arte Reale dell’Alchimia, Sale, Mercurio, Zolfo. (67) Poi, sempre nella navata destra vediamo le due espressioni del femminino, Sfinge e Arpia, l’equivalente delle dee indiane Shakti e Durga o Kalì, o delle dee lunari greche, Selene o Ecate. Infine, nella navata sinistra, l’Antinferno con le tre fiere ed un capro emissario, proprio come nell’inizio della Divina Commedia, particolare che ha provocato la suggestiva teoria di un contatto tra Dante ed il mosaico ed il suo autore che tutt’ora fa discutere. (68)
La Coppa degli Dei e degli Eroi
La navata Centrale è il luogo degli eroi iniziatici: prima Alessandro Magno, eroe dei mondi segreti, dall’India, all’Iran, all’Egitto, e Re Artù, ed alla sua Tavola Rotonda, resa sacra dalla spada e dal Graal. Ma a cosa voglia alludere il geniale Pantaleone appare chiaro successivamente con la raffigurazione, sempre nel Presbiterio, del Bohemet, il Bafometto, il simbolo iniziatico dei Templari, che equivocato in senso satanico, costituì una delle accuse che portò alla loro condanna. Infine, nell’Abside, l’Asino d’Oro di Apuleio si trasforma in un giovane divino, il Risorto, nella mano sinistra un bastone con tre germogli, nella destra una coppa, il Graal, che, nel suo cammino allusivo tra le pietre, farà tappa successivamente nella Cattedrale di San Nicola di Bari, ma di questo potremo trattare in un’altra occasione. (69)
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