Il mondo non è senza Dio,
Dio non è senza il mondo.
(Schleiermacher)
Diverso dall’approccio dei Rossetti, padre e figlio appare l’approccio con l’opera dantesca di William Blake, (Londra, 28 novembre 1757 – Londra,
12 agosto 1827) poeta, incisore e pittore inglese. Egli non fu sufficientemente apprezzato durante la vita, anche perchè considerato affetto
da gravi malattie mentali, per via delle visioni eccentriche e paradossali che illustrò in molte delle sue poesie e delle sue opere, Solo pochi
decenni fa la sua figura fu molto rivalutata, per via della grande espressività, creatività e fantasia si cui le sue opere sono permeate, e della
particolare visione filosofico-mistica che sta alla base del suo lavoro. Fu un artista stravagante ed inquieto, bizzarro; poeta precoce a 13 anni
con la sua opera “Schizzi poetici”, nata nell’ispirazione dei versi di Dante, Milton e Shakespeare; pittore visionario e mistico, straordinario
cantore di angeli e demoni, del divino e del ferino, folle della stessa follia di Caravaggio, Van Gogh, Gauguin. E’ un episodio degno di nota che
nel 1823, quattro anni prima di morire, volle commissionare per sè una maschera funeraria: non aveva paura alcuna della morte e voleva vedere il
suo volto dopo la dipartita. Da questa maschera funebre un altro grande pittore, Francis Bacon trasse ben cinque ritratti. Blake illustrò da solo,
i propri libri, applicando nuove tecniche dell’incisione e della stampa, che resero le sue opere, simili a dei manoscritti medievali miniati. Lavori
realizzati con una tecnica da lui “brevettata”, che gli permetteva di stampare in rilievo simultaneamente il testo e le illustrazioni, poi ritoccate
ad acquerello. L'ultimo grande progetto di Blake, rimasto incompiuto alla sua morte, è una serie di illustrazioni per la Divina Commedia di Dante,
eseguite a partire dal 1824 su commissione di John Linnell.
Ma aveva già iniziato, a partire dal 1821, a lavorare alle tavole per “Il libro di Giobbe”
e per la “Divina Commedia”, che comprende tra i più grandi capolavori di Blake e che resterà incompiuto a causa della morte dell'artista, sopraggiunta
il 12 agosto 1827. D’altro canto, l’ispirazione all’opera dantesca fu da lui condivisa con il suo amico John Flaxman, colui che 1795 l'amico Flaxman
lo presentò a Thomas Butts, funzionario pubblico, che a partire dal 1799 e per i vent'anni successivi sarebbe stato il suo mecenate. Anche Flaxman del
resto, come già affermato nel precedente articolo, illustrò la “Divina Commedia” anche se con una modalità meno critica ed originale di Blake.
Perché è proprio in chiave critica, con originalità e coraggio, che Blake illustra la “Divina Commedia” di Dante, con una scelta stilistica,
allo stesso tempo, divina e demoniaca. Consideriamo, ad esempio, la modalità di rappresentare Dante e Virgilio come donne: enigmatico messaggio
della medesima ambiguità della “Gioconda” di Leonardo o delle figurazioni efebiche di San Giovanni Evangelista del Rinascimento, perché ogni uomo,
nella visione di Blake, ha una sua emanazione femminile.
Esaminiamo, a tale riguardo, “Dante e Virgilio sulla porta dell'Inferno”, raffigurazione
del Canto I dell’Inferno, conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze Vi sono raffigurati Dante e Virgilio, con raffigurazioni
femminee, mentre visitano la Settima Bolgia, quella dove sono puniti i ladri, eternamente morsi da serpenti coi quali scambiano le fattezze.
Ora spieghiamo perché la lettura di Blake del mondo dantesco è critica: perché, nella sua opinione, tutti in materia di religione erano in errore:
il Vecchio Testamento, il Vangelo, i filosofi razionalisti (Bacon, Newton e Locke sono per lui “l’empia triade del materialismo”). Quindi anche Dante
Alighieri, che credeva nel peccato e nella sua punizione all’inferno, mentre per Blake la divinità era solo bontà, perdono e misericordia. Ma quello
della chiave critica, era un lusso che si poteva permettere, poiché oltre a conoscere 5 lingue ( ebraico, latino, greco, italiano, francese),
padroneggiava alla perfezione Bibbia, Kabbalah ebraica, John Milton e il suo “Paradise lost”, le tragedie e commedie del sublime Shakesperare.
D’altro canto fu influenzato soprattutto da Emanuel Swedenborg, attraverso il quale si avvicinò a una nuova interpretazione delle Sacre Scritture,
al neoplatonismo e all’occultismo. Passiamo ora ad esaminare come Blake raffigura uno dei canti più famosi e commoventi del poema dantesco, il
V Canto dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca (04):
"Quando leggemmo il disiato riso esser basciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi basciò tutto tremante. Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante". Inferno, Canto 5th, vv. 133-142 |
Blake raffigura con delicatezza la figura degli amanti in una bufera invernale e tra anime trascinate nel vortice, simbolicamente senza controllo,
delle passioni. Ovviamente neanche Blake poteva esimersi da raffigurare Beatrice, la figura centrale dell’opera. Lo fa in “Beatrice si rivolge a
Dante da un carro”, un dipinto, realizzato tra il 1824 ed il 1827, e conservato alla Tate Britain di Londra. L'episodio rappresentato è il
primo incontro di Dante e Beatrice, nel Paradiso Terrestre posto alla fine del Purgatorio, canto XXX, 1-39. A fianco di Beatrice sono rappresentati
i Quattro Evangelisti, sotto di lei invece le allegorie della Fede (in bianco), della Speranza (in verde) e della Carità (in rosso). Un grifone traina
il carro su cui si trova Beatrice. Il grande pittore rende alla perfezione il mondo allegorico dell’universo dantesco, ma allo stesso modo evidenzia
che il rapporto che lega il poeta alla sua musa scomparsa, è per il medesimo un rapporto di identità totale.
La figura delicata di Beatrice sembra
contrastare con i colori vivaci del dipinto, per fondere la spiritualità e la materia, Beatrice e Dante, che realizzano in tal modo la fusione tra
cielo e terra, sacro e profano. Ma vediamo ora qualche raffigurazione del Paradiso. Ad esempio il canto XXV, 103-139, dove viene effigiato San Giovanni
Evangelista, che ha interrogato Dante per ultimo sulla Carità, dopo che San Pietro aveva, in precedenza, fatto altrettanto per la fede e San Giacomo
per la speranza. E di seguito, introduciamo una breve digressione rispetto al tema dantesco, per meglio apprezzare il successivo esame della
raffigurazione della contemplazione del Cristo da parte di Dante, esaminiamo come il Blake dipinge il Satana dell’Apocalisse, riportando prima il
brano illustrato
[11]Vidi poi salire dalla terra un'altra bestia, che aveva due corna,
simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago.
[12]Essa esercita tutto il potere della prima bestia
in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti
ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita.
[13]Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco
dal cielo sulla terra davanti agli uomini.
[14]Per mezzo di questi prodigi, che le era permesso
di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti
della terra dicendo loro di erigere una statua alla bestia
che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta.
[15]Le fu anche concesso di animare la statua della bestia
sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere
a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia.
[16]Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi
e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte;
[17]e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio,
cioè il nome della bestia o il numero del suo nome.
[18]Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia:
essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei.
dall'Apocalisse di Giovanni Apostolo
Il dipinto in esame è “Il numero della Bestia è 666”, conservato a Philadelphia, presso il Rosenbach Museum and Library.
La rappresentazione è visionaria, ma potente: un uomo scisso in due è ai piedi di Satana, fiammeggiante del fuoco del Male assoluto. Si,
una raffigurazione potente, l’espressione della forza che pure il male ha in questa dimensione apocalittica, che però è anche il compimento definitivo
del destino delle creature di Dio. Poniamo a raffronto la suddetta opera con “Dante adora Cristo”, Paradiso, canto XIV, 96-109.
Con perfetta simmetria con l’opera precedentemente esaminata, Dante, essere umano ormai non più scisso dalle sue contraddizioni, ma armonioso e
musicale, si rivolge verso il Cristo, che tuttavia viene raffigurato in una forma estremamente umana. Qui il paradosso: è più sfolgorante la
rappresentazione di Satana, di cui sopra, che la rappresentazione del Cristo nell’opera in esame. Ma il simbolismo è malizioso: nell’immagine
precedente l’unica cosa che appare scintillante è il Male, perché questo uccide ogni altra realtà, nella rappresentazione dell’adorazione del Cristo,
tutto è luminoso, armonioso, celestiale, perché la luce di Dio non ha bisogno di evidenza, illumina senza apparire sfolgorante, è ogni cosa e il suo
contrario, è fuoco che bagna ed acqua che brucia, nella definizione dell’antica alchimia. Questa è il simbolismo di William Blake, colui che ha più
saputo rendere la forza delle immagini della Divina Commedia.
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