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Jeronymus Bosch,
quando l'incubo diventa arte
La bellezza delle cose esiste
nella mente di chi le osserva.

(Hume)



Cenni biografici

Questo grande artista visse e lavorò a ‘s-Hertogenbosch, da cui prese il nome, piccolo centro di provincia olandese, nel ducato di Brabante, a nord delle altre città di tale regione, Bruxelles, Anversa, Lovanio. Si trattava di una tranquilla cittadina di vocazione commerciale, anche se rinomata per una fiorente attività di tessitura e per ricercato artigianato nella fabbricazione di organi e campane. Ci troviamo nella zona in cui fiorisce quel grande ed importante movimento di rinnovamento del Cristianesimo denominato della Vita Comune di cui meglio si parlerà più avanti. A ‘s-Hertogenbosch, gli antenati di Bosch, il cui cognome patronimico era Van Aken, si stabilirono agli inizi del 1400, precisamente il primo documento risale al 1430-1431, laddove risulta che Jan Van Aken, nonno del nostro artista, morto nel 1454, ebbe cinque figli, di cui quattro furono pittori. Uno di essi, Antonius Van Aken, morto intorno al 1478, fu il padre di Hieronymus Bosch. Non ci sono pervenute tante notizie biografiche di Bosch, l’unica immagine che ci è pervenuta è un suo ritratto, forse un autoritratto, del quale abbiamo delle copie successivamente tratte, dove appare in tarda età, probabilmente poco prima di morire.

Relativamente al suo anno di nascita l’ipotesi più accreditata è quella del 1450, mentre per quanto attenga alla morte siamo certi che avvenne nel 1516. I pochi altri dati che conosciamo sono provenienti dai registri della Confraternita della Nostra Diletta Signora, della quale egli fece parte per tutta la vita, come del resto tutta la famiglia Van Aken. L’ultimo cenno biografico della vita del pittore in oggetto negli atti della Confraternita della Nostra Diletta Signora riguarda la sua morte: si tratta della registrazione 16 agosto del 1516 laddove si da’ atto della celebrazione di una messa in suffragio proprio della sua dipartita. La sua opera più famosa fu il “Giudizio Universale” anche, se in questa sede, per la chiave simbolica della trattazione, esamineremo delle altre opere.

L’appartenenza di Bosch ad antiche e segrete Confraternite

Da tempo ormai gli studiosi sono stati concordi nell’attribuire alle opere di Bosch significati più complessi della pura e semplice trasposizione in chiave onirica. Alcuni sono giunti a definirlo un surrealista del XV secolo, ponendolo in un ruolo di antesignano dell’arte di Salvador Dalì. Altri hanno posto l’accento sulla suggestione dell’esoterismo medievale, dalla magia, all’alchimia, fino alla stregoneria. Ma l’ipotesi oggi più discussa è quella formulata da Wilhem Fraenger, e cioè che Bosch facesse parte del gruppo eretico dei Fratelli del Libero Spirito, che dopo la loro apparizione nel XII secolo si diffusero rapidamente in tutta l’Europa per diversi secoli a venire. Le poche notizie che abbiamo di questa confraternita riportano che consistesse di una serie di riti religiosi fondati sulla promiscuità sessuale, onde tramite questo percorso, pervenire nuovamente allo stato di grazia di Adamo prima del peccato originale. Da ciò il nome attribuito agli appartenenti di Adamiti. Fraenger ha fondato la sua teoria soprattutto su un’opera “Giardino delle Delizie”, di cui si è particolarmente considerato lo scomparto centrale, olio su tavola conservato al Museo del Prado di Madrid, che è stato dal medesimo studioso ritenuto dipinto per un gruppo adamitico della città natale dell’artista e che le scene erotiche del pannello centrale dell’opera rappresentino l’esaltazione del piacere sensuale come veicolo religioso ed iniziatico e non invece, come precedentemente ritenuto, la condanna morale e teleologica del medesimo.

Così, sulle ali di questa interpretazione, l’opera in questione è divenuta l’icona della liberalizzazione sessuale degli anni 60-70 al punto che il fautore della sessualità terapeutica, Norman O. Brown, la citò nel suo libro “Love’s Body”, definendola l’illustrazione eloquente della applicazione delle sue teorie. Ma l’appartenenza di Bosch agli Adamiti, che è rimane solo una ipotesi, appare in contrasto con altre appartenenze, a meno che non si vada a fondo della natura degli stessi Adamiti, e non si scopra che forse erano qualcosa di ben altro e ben diverso da quanto ci hanno descritto. Il primo elemento di valutazione a tale proposito è costituito dalla forte presenza nella regione in cui Bosch nacque e visse del Movimento dei Fratelli e delle Sorelle della Vita Comune, altrimenti detto della Devozione Moderna, che ebbe come interprete altissimo colui che fu il personaggio più importante del Cristianesimo dell’epoca, e tutt’ora fondamentale negli studi storici e teologici, Tommaso da Kempis autore del capolavoro “Imitazione di Cristo”.

Tale movimento fu caratterizzato dall’ascesi mistica in completa comunione con Cristo, nella povertà, nella vita comunitaria, secondo costumi modesti e nel rifiuto di ogni disputa o schematismo teologico o dottrinale. Lo schema era quello di portare la croce del Cristo, condividendone la sofferenza senza ribellarsi e col sostegno della fede. In ciò consisteva l’imitazione di Cristo. Un modello di ispirazione essenica del quale Bosch fu parte, come comprovato da numerose sue opere. Ad esempio si consideri la “Crocefissione”, olio su tela conservato al Musées Royaux des Baux-Arts: il quadro devozionale è chiaramente ispirato al modello sopra indicato, al posto del paesaggio di Gerusalemme, l’artista dipinge sullo sfondo una tipica cittadina olandese, come per sottolineare l’obbligo di portare in ogni luogo il sacrificio della croce. Ed anche nel caso dell’opera “L’andata al Calvario”, olio su tavola conservato al Palacio Real di Madrid, il portare la croce è sottolineato dalla circostanza contestuale della confessione che il ladrone sta rendendo al monaco che aiuta Cristo nella fatica. Solo chi è con Cristo nel portare la Croce può aspirare non solo alla propria salvezza, ma anche a quella altrui. Ed infine nel dipinto “L’incoronazione di spine”, olio su tavola, conservato a El Escorial, Monastero di San Lorenzo, gli occhi del Cristo cercano l’osservatore, con simmetrico richiamo, per il fedele, alla ricerca del Cristo e della sua croce come affermato da Tommaso da Kempis.

Straordinari in questa opera sono gli atteggiamenti degli altri personaggi: mentre in basso un ceffo con la faccia da topo, strappa le vesti del Cristo, un altro da dietro lo spinge con un bastone, col piede arrogantemente appoggiato sulla balaustra, mentre, dal fondo, un terzo personaggio guarda la scena con aria perplessa, ed altri due con aria altrettanto indifferente. Tornando al ragionamento sulla teoria dell’appartenenza di Bosch agli Adamiti, il secondo elemento di valutazione è dato dalla sicura appartenenza del pittore, e della famiglia Van Aken per intere generazioni, alla Confraternita della Nostra Diletta Signora, associazione legata al culto della Vergine, fondata a ‘s-Hertogenbosch nel 1328 ove uomini e donne, laici ed ecclesiastici, erano uniti nella preghiera indirizzata verso il dipinto della Vergine, la “Zoethe Lieve Vrouw”, famoso per i suoi miracoli di guarigioni, ubicato nella chiesa di San Giovanni ove era collocata una cappella della confraternita. L’appartenenza del Bosch a queste due confraternite configura la sua vicinanza alle modalità tipiche del Cristianesimo delle origini, con una evidente assonanza con la tradizione degli Esseni. Noi sappiamo che gli Esseni, sono stati coinvolti, anche se sono stati recentemente dal Pontefice riabilitati, nella polemica delle accuse di eresia, riguardanti anche il movimento gnostico, e che quest’ultimo non è stato risparmiato delle accuse di perversione sessuale, fondate sul rifiuto di considerare la sessualità come fonte di peccato, esattamente come gli Adamiti. Accuse del medesimo tenore, successivamente rivolte ai Rosa+Croce, dopo il loro emergere, nei primi anni del 1600, coi manifesti di Kassel.

Abbiamo più volte espresso, parlando del periodo da Gioacchino da Fiore in poi, alludendo a Ruggero Bacone, al pittore Giorgione, fino a Giordano Bruno, la convinzione che fosse già esistente e radicata in Europa una Confraternita che, solo successivamente, con Johan Valentin Andreae ed i suoi accoliti, assunse il nome di Rosa+Croce. Per quanto attenga a Bosch questa suggestiva ipotesi di appartenenza ai futuri Rosa+Croce sarà ulteriormente rafforzata appresso quando esamineremo il dipinto “Le nozze di Cana”.

“Le nozze di Cana” ed il mistero del coppiere: le nozze mistiche

Veniamo ora all’opera “Le nozze di Cana”, olio su tavola, conservato al Museum Boymans-van Beuningen di Rotterdam, opera fondamentale per meglio comprendere alcuni aspetti nascosti del nostro pittore. Siamo in una sala addobbata con fasto evidente, durante la cerimonia nuziale nella quale Gesù sta per trasformare l’acqua in vino. Certamente ci troviamo sempre nell’ambito delle nozze mistiche, ed il collegamento col miracolo, nonchè la natura del medesimo, la trasformazione dell’acqua in vino che si rammostra come una vera e propria trasmutazione alchemica, sono circostanze che confermano tale assunto. Ma la situazione da descrivere è sullo sfondo del miracolo, peraltro ignorato dagli altri ospiti tutti intenti a gozzovigliare: dietro il desco due colonne, sovrastate, la prima, da un demone che cerca di colpire con arco e frecce un altro demone che sta scomparendo dietro la seconda, in mezzo un’ara a tre gradini con delle figure tra cui un pellicano. Accanto una figura vestita di bianco che dirige con una verga, mentre due servitori portano in due vassoi un cinghiale ed un cigno che vomitano fuoco.

Al centro, davanti al desco, di spalle c’è la figura di un coppiere con una fascia bianca trasversale. Crediamo che di simboli rosicruciani ce ne siano fin troppi: del cigno e del pellicano abbiamo già detto a sufficienza nello spazio riservato al simbolismo del cigno medesimo, poi vi sono due simboli transitati dai Rosa+Croce alla massoneria. Si tratta in primo luogo delle due colonne bibliche del Tempio di Salomone, denominate Jakin e Boaz, di cui già parla Francesco Bacone nella “Nuova Atlantide”, elementi fondamentali dei templi massonici, e la figura del coppiere, transitata direttamente nel 18° grado della massoneria di rito scozzese, denominato Sovrano Principe di Rosa+Croce e Cavaliere dell’Aquila e del Pellicano, la cui carica reggente di chiama Athersatha, termine mutuato dai Vada indiani che significa coppiere. Già colui che porta la coppa, quella che contiene la bevanda dell’immortalità che è il soma. Nel Cristianesimo l’immortalità diviene resurrezione ma lo scarto non è rilevante. La possibilità di risorgere non è dunque una forma di immortalità? Ed è proprio questa funzione del coppiere che ci può consentire di dare una serie di spiegazione del simbolismo del Graal che non lo rinchiuda nella angusta gabbia ermeneutica della sessualità femminile come recentemente e sciaguratamente ancora divenuto di moda.

Mostri e Tarot

Concludiamo la nostra breve disamina con altri due aspetti, il primo dei quali meglio definisce il senso visionario e onirico della pittura di Bosch, che già in qualche modo era emerso dall’esame del primo frammento preso in considerazione del “Giardino delle Delizie”. Si tratta del tema mostruoso, trattato dal pittore in più occasioni, tra le quali abbiamo scelto un altro frammento del “Giardino delle Delizie” e precisamente dalla sezione dedicata all’Inferno, nella quale è raffigurato un mostro dalla testa di uccello. La profondità visionaria della raffigurazione si commentano da sole e sottolineano a sufficienza la straordinaria capacità di Bosch di dare corpo, luce e colori agli incubi peggiori, quelli che a mala pena si riescono a ricordare con confusione. Infine segnaliamo la ricorrente propensione di Bosch a riprodurre simboli e figure che, negli anni a venire, saranno oggetto della raffigurazione dei Tarocchi, o Tarot, a riprova che si trattava di quadri simbolici preesistenti alla data della loro presunta creazione e rispondenti a filoni tradizionali da lungo tempo in viaggio nelle volute della storia dell’uomo. A riprova di ciò riproduciamo “Il prestigiatore o il giocoliere” corrispondente del Bagatto, nei Tarocchi, un olio su tela conservato al Musée Municipal di Saint-Germain-en-Laye. Come si è detto è solo uno degli esempi e delle prove della preesistenza del simbolismo dei Tarocchi rispetto alla data di nascita ad essi improvvisamente attribuita.



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